Fonte: https://sentireascoltare.com
Voto: 7
Negli ultimi due anni, ovvero dalla pubblicazione dell'esordio solista con As You Were, ne sono successe di cose al nostro Liam Gallagher. Prima di tutto il successo planetario conquistato dal disco (#1 in Regno Unito, Scozia, Corea e Italia), fosse solo per aver asfaltato la risonanza mediatica di quel Who Built the Moon? dell'odiato, amato e ancora odiato fratello Noel; al di là dell'eterna diatriba famigliare che ogni giorno sforna nuove puntate a colpi di tweet, il minore dei fratelli Gallagher ha senza alcun dubbio recuperato una serenità che coincide esattamente con un ritrovato benessere all'interno delle mura casalinghe (le sue), sia grazie al supporto di una compagna presente e paziente (sia benedetta Debbie Gwyther) sia alla presenza costante dei figli, Lennon e Gene in particolare, il tutto documentato nel docu-film As It Was, diretto da Charlie Lightening e uscito lo scorso giugno. Stando alle sue parole e a quello che vediamo in video, sembrerebbe proprio trattarsi di un Liam nuovo di zecca, un uomo finalmente maturo che non ha perso il gusto per la battuta a effetto, quella sensazionale, capace di generare l'isteria giornalistica (come quando a intervalli regolari esprime il desiderio di veder riformati in futuro gli Oasis con il fratello, e accadrà, ne siamo certi), ma indubbiamente consapevole dei propri limiti e disposto ad accettarli senza remore.
Fin qui, solamente parole, si diceva. Tocca alla musica dimostrare il resto, confermare quella facciata, non dare scampo ai detrattori. 23 mesi dopo, la lezione di As You Were sembrerebbe essere stata metabolizzata e superata a dovere; quello dell'esordio era un album sì sufficiente, ma che rendeva fin troppo evidenti le mancanze in zona composizione del Nostro, con brani che in qualsiasi altra band o nome di spicco sarebbero stati catalogati come meri riempitivi (o scarti) e che invece andavano a rimpolpare una scaletta in cui il meglio non era certo il malloppo registrato a sola firma Liam (ben 6 brani su 12 e 9 su 18, se consideriamo le edizioni deluxe). Conscio di ciò, il buon Liam richiama a rapporto Andrew Wyatt, che stavolta co-firma quasi tutti i pezzi in scaletta, e la differenza si sente eccome! Innanzitutto ritroviamo una coerenza "narrativa" di fondo che dona a Why Me? Why Not. quell'atmosfera che più che nostalgica ci sentiremmo di definire elegiaca verso un passato glorioso, ma che resta appunto passato. La scelta stilistica e cromatica dei videoclip di Shockwave e One of Us conferma questa precisa volontà, con quel bianco e nero sgranato issato a manifesto concettuale, che se nel primo sembra quasi un sincero omaggio all'estetica tarkovskijiana (non fosse per il faccione sfrontato di Liam), nel secondo riflette un campionario di ricordi molto affettuosi rivolti al fratello Noel, al tema dell'assenza e a quello più insistito della dissoluzione dell'unità famigliare in tutte le sue declinazioni (la scritta "28-08-09", su una porta, è un riferimento alla data dello scioglimento degli Oasis).
Difatto, la traccia successiva continua proprio su questo solco, fatto di ricordi violenti, di treni passati, di strade percorse in salita e discese ripide nelle quali si è incespicato; il tutto riassunto nella forma della consueta ballad lennoniana, di cui Once è probabilmente la trasposizione meglio riuscita nell'intera carriera post-Oasis del Nostro. Sa più di "Macca" invece Now That I've Found You, con la quale si distendono un po' i toni del "racconto" che fino ad ora aveva conosciuto solo sferzate di spessore e che qui trovano nella semplicità della ripetizione una valvola di sfogo ideale. Con Halo, invece, torniamo ancora più indietro negli anni, al rock 'n' roll nudo e crudo, alla vecchia scuola o chiamatela un po' come vi pare, mente la title track è tutta farina del sacco di Liam (anche se c'è lo zampino di Simon Aldred in produzione) e viene da chiedersi quanto a lungo abbia studiato pur di imparare così bene la lezione (a tratti sembra riecheggiare The Importance of Being Idle). Che i Beady Eye siano stati un'esperienza fondamentale nella costruzione del nuovo Liam Gallagher lo dice chiaramente un brano come Alright Now, dalle movenze calibrate e i cambi di registro vagamente seventies, dove a emergere è la sicurezza del frontman, ormai padrone del proprio destino, una compostezza che si riflette anche nella successiva Meadow, per poi rafforzarsi della corazza Oasis in The River, non a caso scelta come apripista promozionale del disco, quasi come a dire: "Sì, sono ancora io, e finché ci sarò io gli Oasis vivranno in me. Fatevene una ragione".
Inutile, quindi, pretendere voli schizofrenici verso la disco music (chiedere a Noel), Liam Gallagher non cambia, non ne ha motivo, non è nel suo stile. Accettato questo, si può solo migliorare, ammettere le debolezze, puntare sulle forze, sui cavalli di battaglia e confezionare per il meglio un disco immagine in cui stavolta – a differenza del precedente – si possa percepire qualche sfumatura o increspatura ombrosa sul faccione in copertina (che non per niente ha una variazione cromatica significativa, a dispetto dello scialbo bianco/nero di As You Were). L'album non poteva quindi che chiudersi con un'ideale cavalcata (Gone), quasi a sancire il lungo viaggio dall'interno all'esterno, dalle pieghe di un passato tra le mura di casa (Inghilterra) alle lande sconfinate e rilassanti di una strada (una superstrada americana?). Non fosse che…
Si riprende immediatamente dopo (ci buttiamo in territorio Deluxe Edition) con la depechemodiana Invisible Sun, salvo poi incedere con la docile Misunderstood, un brano che abbiamo imparato a conoscere bene, quasi un esercizio di stile, un riempitivo non a caso piazzato lì come extra. Chiude i battenti, stavolta davvero, Glimmer, confezionata in gran stile da Michael Tighe e Wyatt, unico brano davvero fuori posto dell'intera tracklist; siamo sempre dalle parti del più che piacevole, sia chiaro, ma stavolta sembra una carta tirata fuori dal mazzo di qualcun altro (James Mercer è il primo nome che salta all'orecchio). Un'unica pecca che però non intacca il risultato finale, ovvero un album sicuramente riuscito, più pensato e meno spontaneo del precedente (che, visto il soggetto, è un bene) e con una propensione al riascolto che (per l'opera di un Gallagher) non si palesava da circa quindici anni a questa parte.