Essere Liam Gallagher è uno stile di vita. L'ex Oasis arriva sul palco del Palazzo dello Sport di Roma, che ieri sera ha ospitato la prima delle due date italiane del tour indoor legato al suo nuovo album solista "Why me? Why not.", evitando ogni tipo di divismo, mentre l'arena capitolina lo saluta con l'ovazione che merita una rockstar come lui e dalle casse risuona "Fuckin 'in the bushes" degli Oasis. Con la sua camminata inguaribilmente cafona, il cantautore britannico va dritto verso il centro del palco: niente smancerie, niente "è bello essere qui", non dà neanche il benvenuto ai fan. Di apparire gentile e simpatico, si sa, non gliene importa moltissimo. E così, ignorando le urla e gli applausi del pubblico, s'aggrappa all'asta del microfono e attacca subito la prima canzone in scaletta, "Rock'n'roll star", che è al tempo stesso una dichiarazione di intenti e un modo per ricordare - come se ce ne fosse bisogno - chi è e cosa ha fatto in passato.
Liam Gallagher mancava a Roma da sei anni esatti: l'ultimo suo passaggio nella città eterna risaliva al 16 febbraio del 2014, quando insieme ai Beady Eye - la band che lanciò poco dopo la lite con suo fratello Noel che mise di fatto la parola fine alla storia degli Oasis - si esibì sul palco dell'Orion di Ciampino, a pochi chilometri dal centro della Capitale. Sul palco del palasport romano, per la verità, avrebbe dovuto esibirsi già nell'autunno del 2018, con il tour legato al suo primo album solista "As you were" (uscito l'anno precedente), salvo poi annullare il concerto senza riprogrammarlo. A distanza di un anno e mezzo, l'attesa e la pazienza dei fan sono state ripagate: tra revival degli Oasis e celebrazione della sua carriera solista, Liam infiamma il palazzetto con una ventina di canzoni che alternano il presente al glorioso passato, per un successo annunciato (la data romana è andata sold out con più di due mesi d'anticipo - su TicketOne è invece ancora disponibile qualche biglietto per il concerto di stasera al Mediolanum Forum di Assago, poi tornerà in Italia la prossima estate per una data al Lucca Summer Festival).
È proprio dal repertorio della band simbolo del Britpop che Liam pesca a piene mani, riproponendo da solo mine come "Morning glory", "Stand by me", "Columbia", "Gas panic!", "Acquiesce", "Roll with it" e "Supersonic". Qualcuno lo accusa di continuare a campare grazie alle canzoni scritte dal fratello, che è in parte vero: però senza l'interpretazione di Liam, probabilmente quei pezzi non sarebbero diventati gli inni generazionali che a distanza di anni continuano ad essere, cantati a squarciagola tanto da chi la scena Britpop l'ha vissuta direttamente (e oggi, a cinquant'anni, si scatena sugli spalti o in parterre perdendo ogni dignità) quanto da chi quando uscì "Definitely maybe" non era ancora nato. Liam fa riascoltare quelle canzoni con la stessa presenza scenica e con l'attitudine sfrontata e arrogante di venticinque anni fa, piegato verso il microfono con le mani nascoste nelle tasche del parka o dietro la schiena, spalleggiato da una super band composta da Mike Moore e Jay Mehler alla chitarra, Drew McConnell al basso e Dean McDougall alla batteria (ad un certo punto sul palco arriva anche suo figlio Gene, diciott'anni, che ha deciso di seguire le orme del padre - e anche della madre, Nicole Appleton, cantante delle All Saints - fondando una band tutta sua).Peccato che per i brani dei suoi album solisti ci sia poco, pochissimo spazio: in una scaletta che sembra essere incentrata più sul passato che sul presente, sono solamente i singoli "Shockwave", "The river", "Wall of glass", "For what it's worth", "Come back to me" e la ballata strappalacrime "Once" - oltre a "Halo" e "The river" - a provare a rendere giustizia ai due ottimi album post-Oasis e post-Beady Eye del rocker, mentre canzoni come "Paper crown", "One of us", "Now that I've found you" restano incomprensibilmente fuori. Ma tutto sommato, ai fan va bene così: (ri)ascoltare dal vivo "Wonderwall" è qualcosa che vale quasi l'intero prezzo del biglietto (e non era così scontato che Liam cantasse il classicone di "What's the story? Morning Glory", lasciato fuori dalle scalette di tutti i concerti europei di quest'anno). "Visto che siete stati così carini", dice nel finale, tornato sul palco per il bis dopo "Champagne Supernova", travolto dall'affetto, "vi suono questa cazzo di canzone". Qualche cinquantenne si commuove, i ragazzini si abbracciano e con le mani alzate verso il cielo intonano quel ritornello, tra i più iconici della storia del rock: "Maybe / you're gonna be the one that saves me / and after all / you're my wonderwall". L'ultimo - emozionante - grido della notte, prima del finale con "Cigarettes & alcohol".