È mezzogiorno e il cielo turchino avvolge il sole attorno a Londra. Liam Gallagher spacca il minuto ed entra in studio con il sorriso. Inutile specificare il cognome, se si tratta di musica. Perché di Liam, da ascoltare, ne esiste uno soltanto: il fondatore e frontman degli Oasis, la band simbolo degli anni Novanta con 75 milioni di dischi venduti in una carriera appena maggiorenne e fan illimitati che sognano la reunion nonostante i 13 anni dalla scissione. Di più: è la voce originale – riconoscibile all'istante come la sua posa sul palco, mani intrecciate dietro la schiena e mento in su, verso il microfono alto – della classe operaia che ha catapultato il Britpop dai sobborghi plumbei di Manchesterai palchi dorati in ogni angolo del pianeta. Bottiglia d'acqua sempre nei paraggi e battuta pronta, Mr. Gallagher esamina gli outfit da indossare. Tutti approvati. «Mi ricordano il mio guardaroba easy, identico a quando ero giovanissimo e a quando sarò vecchissimo. Per un matrimonio recente ho comprato un completo classico di cui mi sbarazzerò presto. Alla prossima cerimonia mi presenterò come mi vedi oggi».
Cioè, così: pile teddy, maglia e jeans morbidi, scarpe comode. Un'immagine a distanza siderale da quella eccentrica e ultralogata di una rockstar qualunque. Il punto è che Liam non è una rockstar qualunque: uno che per natura esce dagli schemi, figurarsi se rientra nei canoni dell'icona glam. Quale è. «Che sia nato con la rivoluzione dentro, si capisce già dal mio look controcorrente. Vesto basic, tra il casual e l'outdoor, eppure sono più trendsetter di tutti i miei colleghi messi insieme. L'abito fa il ribelle – penso al mio mito John Lennon, addirittura nudo sulla copertina di Unfinished Music No.1 ‐ Two Virgins, o a Keith Richards, con bandana e kajal – e le fashion victim insultano se stesse: tirate fuori il carattere e indossate quel ca**o che vi pare!».
Il delicato invito non implica che l'ex leader di Oasis e Beady Eye (sorti dalle ceneri dei primi, escluso suo fratello Noel, e durati dal 2009 al 2014), disprezzi la moda: «Credo sia un mezzo di comunicazione straordinario: una T-shirt rivela chi sei meglio di un monologo. Per questo è la mia grande passione dopo la musica: spendo un capitale soprattutto in Clarks Caravans, ho perso il numero delle paia della mia collezione e, siccome spesso non trovo i capi giusti, nel 2009 ho creato la linea d'abbigliamento Pretty Green». A cui si sono aggiunte di recente la collaborazione con Adidas per le sneaker Padiham Lg Spzl e la capsule (firmata insieme al designer Nigel Cabourn) di parka: «Da giaccone anonimo l'ho trasformato nel pezzo must have di due generazioni. Cappuccio calato sulla fronte e via, attiri l'attenzione generale senza stupire con effetti speciali».
Gallagher si converte alla sobrietà e rinnega il curriculum di eccessi? «No, nemmeno gli abusi di sostanze varie. Al giro di boa dei 50 anni che mi aspettano il 21 settembre, resto uno spirito libero, ho solo rallentato il passo, ma mi rendo conto di essermi riempito di m**da. Lo slogan "sesso, droga e rock'n'roll" è sorpassato: con gli impiegati che si sballano al posto degli artisti, ti distingui di più se segui le indicazioni per la raccolta differenziata. E poi c'è ribelle e ribelle. Il mio atteggiamento a volte str***o nasconde un animo gentile: apro sempre le porte alle signore, tanto per dire una sciocchezza. Non mi sono mai adeguato alle regole della massa, ma ho una mia etica precisa e dei valori scolpiti nel cervello. Il lavoro in particolare: sono certo che nobiliti l'uomo, al contrario del denaro».
Infatti non gli interessa se il terzo album solista C'mon You Know, in uscita il 27 maggio (anticipato dal singolo Everything's Electric, firmato in coppia con il Foo Fighter Dave Grohl), scalerà le chart come entrambi i precedenti. «L'importante è che piaccia. Io amo questi 13 brani inediti, perché arricchiscono il mio stile di ritmi nuovi, tipo il reggae, e perché mi offrono l'occasione di partire in tour (unica tappa italiana al Lucca Summer Festival il 6 luglio, ndr), dopo la lunga pandemia. Debutterò in paradiso: l'Etihad Stadium, dove gioca il mio sacro Manchester City. Non vado a tifare gli Sky Blues da dieci anni, quando ho visto l'ultima volta Noel: già da tempo non ci parlavamo e non ci siamo salutati. La squadra mi manca da morire – mio fratello, no – però la decisione era obbligatoria: in tribuna impreco di continuo e do un pessimo esempio. Preferisco fare il ribelle fanatico a casa».
Credits:
Icon Magazine
In apertura Liam Gallagher indossa giacca Prada,occhiali da sole Jacques Marie Mage
Photos by Gavin Bond, Styling by Mark Anthony Bradley
Production: Fuse Productions (@fuseprodco)