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Noel : «Liam, lasciami stare»

Intervista VanityFair.it

A 25 anni dal primo album-capolavoro dei suoi Oasis e a 10 dalla fine della band, Noel Gallagher ricorda gli inizi e la voglia di cominciare «il viaggio della vita». E sulla vecchia faida con il fratello ha un'ultima cosa da dire

A volte la fortuna aiuta l'intervistatrice intimidita. Qual è la canzone dell'ep che le è piaciuta di più?, chiede Noel Gallagher seduto dall'altra parte del tavolo. A Dream Is All I Need to Get by, si tenta di rispondere. Sollievo, la risposta è giusta: «È una delle canzoni più belle che abbia mai scritto! Con una melodia così ipnotica», si accende lui. Poi la sintesi, molto gallagheriana: «È un cazzo di pezzo fantastico!».

L'ep è This Is the Place, lo firma con i suoi High Flying Birds ed esce il 27 settembre.

Lui è il Noel Gallagher di sempre: stesso taglio di capelli anni Novanta, jeans e maglia neri, occhi chiarissimi e sguardo sardonico, prosa puntellata di «fucking», schiettezza nelle risposte. Il 2019 è l'anno di due anniversari importanti: i 25 anni di Definitely Maybe, per molti il capolavoro degli Oasis, scritto tutto da Noel così come gli altri dischi a seguire, e i dieci anni dallo scioglimento della band, da quella famosa notte a Parigi in cui lui se ne andò. Il resto è storia della cultura pop: le pubbliche liti con il fratello Liam, i tentativi di riavvicinamento, le sparate a mezzo stampa un po' contro chiunque. Unica costante, la musica. E un mistero: «Non so da dove arrivino le canzoni, se lo sapessi non sarebbe più magico. Di solito sono a casa che guardo la tv senza audio e suono qualche accordo. Posso andare avanti mesi a suonare le stesse cose, poi scatta qualcosa: riconosco quel momento e ne sono ancora affascinato. I miei pezzi cadono dal cielo».

E questo ep da dove viene?
«Da Manchester: il suono risente molto della Haçienda, il locale in cui negli anni '80 suonavano gli Smiths, i New Order, gli Stone Roses, gli Happy Mondays. E poi dalla musica elettronica che ho ascoltato di recente. Per me che sono un chitarrista è una cosa buona fare canzoni senza chitarre».

Perché?
«Perché imparo cose nuove. Fare un disco alla Oasis sarebbe la cosa più facile, ma la gente direbbe comunque che non è allo stesso livello del passato».

Gli Oasis sono una leggenda che è meglio non toccare?
«La gente si è messa a cantare Don't Look Back in Anger dopo l'attentato di Manchester del 2017. Una parte di me era onorata, ma l'altra era immersa nella tragedia e non voleva provare orgoglio. Il modo in cui le persone ricordano e cantano le mie canzoni è incredibile. So di essere entrato in qualcosa di molto speciale, ma non voglio sapere cosa sia. È il motivo per cui tanti vorrebbero una reunion degli Oasis e io spesso mi sento l'unica persona sulla Terra a chiedere: ma perché?».

Perché no?
«Perché provare a ricreare la torta perfetta? Sarebbe stupido».

I Blur lo hanno fatto.
«Ma chi se ne fotte dei Blur! Voglio dire: buon per loro, ma non mi interessa quello che fanno gli altri».

È per via di Liam.
«Quello ha un grande peso, non lo nascondo. Ma se anche andassimo d'accordo, non vedrei in ogni caso il senso di una reunion».

Sarebbe un regalo ai fan.
«I regali li hanno già: hanno i dischi».

Liam vorrebbe riformare gli Oasis.
«Sì, certo… va bene, mettiamola così: e chi ci sarebbe nella band? Nella mia adesso siamo quattro ex Oasis. Nessuno di noi vuole stare in un gruppo con quel tipo. È un cazzo di incubo».

Siete mai andati d'accordo?
«No».

Mai nella vita?
«Mai».

E come facevate a suonare insieme?
«Gli Oasis erano il nostro mezzo per la celebrità e i soldi, erano così preziosi che ci si adattava. Ma una volta che sei ricco e famoso, non ne vale più la pena».

Sono dieci anni che ha lasciato la band.
«Quella notte a Parigi fu una decisione velocissima, meno di un minuto. Mi è apparsa tutta la storia degli Oasis sotto forma di flash davanti agli occhi. Pensavo: cos'altro vogliamo? Più tour? No. Più soldi? Ne ho già un sacco. Basta così».

Mai avuto un ripensamento?
«Mai. Ma io so perché Liam vorrebbe la reunion. Perché si vergogna di quello che ha fatto e vorrebbe rimediare ai suoi errori. Tutti quei concerti, soprattutto in Italia, in cui abbandonava il palco come se niente fosse davanti a 70 mila persone… doveva pensarci prima».

Che problemi ha Liam?
«È uno stronzo. Ecco qual è il suo problema».

È comunque suo fratello. Non potrebbe riconciliarsi?
«No. Finché dice cazzate su di me, chi se ne frega. Ma quando si mette a mandare messaggi minacciosi a mia figlia e a mia moglie (si riferisce all'sms di qualche mese fa alla figlia Anaïs in cui Liam scrive: «Di' alla tua matrigna di stare molto attenta», ndr), per me è finita per sempre».

Liam si è scusato per quel messaggio.
«Non mi interessa. Sono dieci anni che va avanti così, questa è solo la prima volta che rendo pubblico un suo messaggio. E la cosa più grave è che se Liam non fosse una rockstar, qualcuno chiamerebbe la polizia per denunciare quello zio inquietante che minaccia la nipote».

Sua figlia si è spaventata.
«Cosa puoi fare quando ti chiama quasi in lacrime dicendo: papà, ma quando mi lascerà in pace quello lì? Pensi se stasera andassi a casa a dire a lei e a mia moglie che voglio riformare gli Oasis. Direbbero che non rispetto i loro sentimenti».

Con Liam avete fatto dischi importanti. Alla fine di agosto c'è stato il venticinquesimo anniversario di Definitely Maybe, il vostro primo album. Lo considera il suo capolavoro?
«La mia opinione non conta. Per me abbiamo fatto tre grandi album: questo, (What's the Story) Morning Glory? e Don't Believe the Truth. Non sono così stupido da non capire che cosa significhino questi dischi per le persone. Quando qualcuno mi dice che gli hanno cambiato la vita, non mi metto certo a discutere».

Ha mai avuto paura di non riuscire a raggiungere di nuovo quelle vette?
«Be', non posso. È decisamente impossibile».

Perché?
«Ai tempi di Definitely Maybe ero un ventenne, ero al verde e scrivevo canzoni che parlavano di gente che viveva senza soldi in una grande città. (What's the Story) Morning Glory? parlava invece del fatto che sarei diventato ricco. Oggi ho 52 anni, sono una rockstar di lungo corso: come potrei essere quello di una volta?».

È sparita l'urgenza?
«Sì e no. Ho ancora la volontà di spingermi in avanti e vedere cosa posso fare. Ma non sono più alla ricerca di quello che volevo a 20 anni».

Qual è il ricordo più bello del periodo di Definitely Maybe?
«Quella volta che in studio abbiamo ascoltato per la prima volta Supersonic, che avevo scritto poco prima, la sera stessa. Ascoltare la registrazione di altri pezzi come Live Forever e Rock 'n' Roll Star e poi sentirli alla radio. Andare a Top of the Pops (famoso show musicale della Bbc, ndr). Conoscere i miei idoli, come Paul McCartney».

Ai tempi dove viveva?
«Per un po' con Bonehead (l'altro chitarrista degli Oasis, ndr), poi da solo in un appartamento nel centro di Manchester. Ma mi ricordo benissimo che un weekend, dopo la fine di una storia d'amore, andai a Londra e non tornai mai più nella mia città».

Non è mai tornato a prendere le sue cose?
«No. Non so che fine abbiano fatto i miei vestiti e i miei dischi. Sparii semplicemente con una borsa e una chitarra».

Non vedeva l'ora di scappare da Manchester?
«Non vedevo l'ora di cominciare il viaggio della vita. Non ho mai avuto paura del futuro, l'ho sempre abbracciato».

Si ricorda quando scrisse Live Forever? Sapeva che era la canzone della svolta?
«Sì, lo sapevo. La scrissi un pomeriggio a Manchester mentre ascoltavo musica mainstream. La sera stessa la cantai in sala prove: erano tutti sbalorditi».

La canzone diceva: voglio vivere per sempre.
«Ai tempi andavano forte i Nirvana, cantavano una canzone che si intitola I Hate My Life and I Want to Die (in italiano: odio la mia vita e voglio morire, ndr). Mi chiedevo: ma perché? Poi lessi un'intervista a Kurt Cobain in cui veniva fuori come un artista tutto tormentato. Ma vaffanculo, pensavo. Hai avuto tutto, sei nella band più importante del momento, sei dove vorrei essere io, e dici che vuoi morire? Allora io voglio vivere per sempre. Ecco com'è nata la canzone».

Eravate la risposta ottimista al grunge. Fu questo il motivo del vostro successo?
«La mia musica univa le persone. Non ha mai parlato di me, ma sempre di noi. Tutti potevano identificarsi. Se avessi scritto canzoni su cose personali, alla Bob Dylan, gli Oasis sarebbero stati una band come tante».

Ci sveli il grande mistero del Britpop: cosa successe al pub di Londra The Good Mixer, la notte in cui cominciò la guerra tra Oasis e Blur? Nessuno ne ha mai voluto parlare.
«È stato Liam, faceva lo stupido. Quella sera davamo una festa perché Some Might Say (singolo del 1995, ndr) era andato al primo posto della classifica. A un certo punto arrivano i Blur. Fateli entrare, diciamo noi. Entrano e Liam e Damon, i due cantanti, rivali, si prendono a male parole. E poi tutto degenera, comincia una rissa e intervengo anche io a dividerli…».

Oggi lei e Damon Albarn siete amici, ma negli anni '90 fu guerra tra Oasis e Blur. A guardare indietro, pensa che fu un errore?

«No, penso solo che deve essere stato fantastico avere avuto 16 anni a quei tempi, con la musica che era il centro della tua vita e queste due band che litigavano. Si immagina che cosa potrebbe succedere oggi? Una battaglia tra Ed Sheeran e il fottuto Lewis Capaldi (nuovo cantante scozzese, ndr)? Ma chi se ne frega, dai». 

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